Mariella Bettineschi
Sid Sachs, Nostra signora del vetro
Voyager, catalogo, Contemporanei, Bergamo, 2006
Un artista è un alchimista. Mariella Bettineschi filtra memorie, storie, sabbia e limo nelle maglie della mente e tesse fili d’oro. Per far questo, da vera artista, non ha bisogno di un telaio o di una pietra filosofale; sibilla lei stessa è il catalizzatore che tesse le cose viste in visioni, i suoni in cori, gli eventi in storie epiche.
Sebbene la purezza del cuore significhi desiderare un’unica cosa, ci sono molti tipi di santi, ognuno con un percorso diverso, ognuno con le sue gesta straordinarie, i suoi tormenti e i suoi miracoli. Alcuni artisti sono meteore, brillano in modo spettacolare e poi svaniscono. Altri artisti crescono più lentamente, incorporando le loro esperienze come le concrezioni di una conchiglia per acquisire spessore. Le opere di Mariella Bettineschi sono più della somma delle singole parti.
Presso The University of the Arts di Philadelfia, Bettineschi presenta uno spazio teatrale con riferimenti a Marcel Duchamp.
Il lavoro di Duchamp era erotico (come lo è la vita) e pregnante e metaforico. Anche lui si occupava di cambiamenti alchemici, transizioni e trasformazioni degli stati dell’essere. Il suo lavoro, come quello di Bettineschi, era sia astratto che figurativo.
Bettineschi parla dei disegni interni delle cose. Quel disegno interno è il nucleo dell’essenza di ogni cosa. Lei ci chiede quali e dove siano i confini tra la sfera pubblica e quella privata. I primi disegni di Bettineschi: ferite e stimmate tagliate nel tessuto, nei libri, e nella carta, invece di diventare concreti e tangibili sono diventati ultraterreni, adimensionali. Come le memorie, questi segni, procedono dal mondo ma esistono in un luogo altro. Come con Infra-mince di Duchamp, l’ultra sottile, Mariella Bettineschi ci porta negli spazi tra le cose, dalla seconda alla quarta dimensione e, da qui, oltre. Il loro particolare splendore, che include polvere meteoritica, è celestiale.
L’installazione Voyager include una serie di immagini stampate su vetro. L’artista usa vetro. dipinto o stampato, da oltre 20 anni. Il vetro è utilizzato come una vetrina, un reliquiario, un piedistallo, una lastra, una sfera perfetta, una cosa presente e non presente.
E’ trasparente al processo tuttavia spettacolarmente “vitreo”, simile a una gemma. Per natura, la sua superficie planare è liscia, classica. Come i “reverse paintings” (dipinti eseguiti su lastre di vetro) o i manoscritti miniati, il vetro vernicia le immagini, rendendo i loro colori brillanti.
Mariella Bettineschi è interessata a questa luminosità, quest’aura carica di elettricità delle cose. Utilizzando il vetro come supporto, le immagini fluttuano nello spazio. L’essere trasparente permette ai segni, al loro luogo e all’osservatore di interagire in modo reale. Le immagini sono luminose come ali di angeli, sono filamenti o matasse di linguaggio da legare e intrecciare in una poesia. Alcune immagini rimangono aderenti alla loro origine, vediamo gocce di acqua, edifici, ecc. Altre ci portano lontano: ingranaggi e ruote dentate, tacche e geroglifici come le schede perforate dei computer, frecce e fori delle serrature. Alcune immagini rimangono chiare,Testimoni Oculisti ti impone di focalizzare l’immagine, dal momento che l’acutezza ha bisogno di un obiettivo ottico. Sebbene alcuni oggetti rimangano concretamente reali, altri si mimetizzano nel teatro dell’irreale. La ruota di Duchamp è capovolta in diagonale in un apparato come quelli di Tatlin. Altri sono nebulosi come un fotogramma di Adam Fuss.
L’artista quindi ci conduce in un viaggio attraverso il tempo e lo spazio; utilizza “il viaggio” come una metafora per trasportare l’osservatore. Alcuni archi sono enormi: uno disegna il passaggio della Luna; Planetario indica una mappa celeste pre-galileiana (la terra è situata al centro) di orbite planetarie tra i segni dello zodiaco. Disegno 17 traccia i viaggi degli esploratori della Terra come Magellano e Colombo. Disegno 2, un disco con lettere enigmatiche intorno al perimetro, rivela se stesso come un semplice insieme di codici di un aeroporto internazionale. In un’altra fotografia mimetizzata di uno spazio industriale con lettere al contrario, si legge con difficoltà “Sanomatalo”. Agli occhi innocenti degli Americani non abituati a viaggiare nel mondo, è un non sense, per gli Europei è il nome di un nuovo edificio finlandese.
L’insieme delle tracce di pensiero si collegano come parole in una frase, creando un’unità. Un palinsesto digitale, una concatenazione di segni, trasporta poeticamente da un’immagine all’altra. Bettineschi afferma “Lavoro su frammenti e cerco di tenerli insieme come il filo della collana tiene insieme le perle”. Il suo lavoro si colloca nella tradizione dell’arte dell’installazione. Le parti non sono disposte a caso o arbitrariamente; abbondano seguendo una sintassi personale e tuttavia formale.
Eppure si è spesso trasportati da eventi casuali così come da quelli di portata più grave. Considerate l’impatto dello sguardo fugace di una bella ragazza dal finestrino di un treno in movimento; Duchamp si innamorò immediatamente di questa ragazza, fissando il volto di lei nella sua memoria. Questo evento casuale divenne a sua volta lo stimolo per il dipinto Dulcinea (1911).
Le penultime due immagini alla fine della serie esposta sono di una bella donna (in italiano nel testo). Sfacciatamente tuttavia etericamente nuda, è l’incarnazione inafferrabile di Nostra Signora del Vetro, piuttosto che la sposa meccanica di Duchamp. La Madonna della Bettineschi è del nostro tempo, del ventunesimo secolo, non del Cubo-futurismo di quest’ultimo. Il fatto che tutte le immagini della Sposa siano state create fortemente grafiche e monocromatiche così come l’installazione stessa, rende la carne della Sposa ancora più luminosa e scioccante. Mentre le spose di Duchamp sono tutte macchinari lisci e la testa di Etant Donne è nascosta a noi, la Sposa Bambina di Bettineschi si presenta direttamente per essere vista e desiderata. Nel racconto dell’artista, la Sposa giunge ad uno stato di consapevolezza dove è sì esposta allo sguardo, ma anche in grado di controllarlo. “Lei è oggetto e soggetto di bellezza. Si guarda ed è guardata”. Lei ci conosce e ci controlla e davanti a lei diventiamo meri Macinatrici di Cioccolato, sedotti al significato secondo le sue condizioni.
Nella installazione La teoria delle sfere le opere astratte letteralmente irradiano. I tondi di Bettineschi, come pure aureole, emettono pulsanti colori armonici. Tuttavia i suoi tondi non sono psichedelici, né optical, come quelli di Peter Sedgley o comici come quelli di Ugo Rondinone. Questo viaggio manca della rigida collocazione terrena. La radiosità non è né in questo posto né in un altro, trascende il luogo. Le sfere di Bettineschi sono posizionate tra l’oggetto e l’osservatore in un modo che i semplici dipinti non rendono. Queste sfere e piani sono apparentemente disseminati sulla parete nel nostro spazio. E’ un nucleo non lineare, una serie di respiri che legano l’arte insieme. E’ un linguaggio invisibile da vedere. Creano una mappa di conoscenza, non letterale, di comportamenti logici o illogici da un punto all’altro. Non sono A né Alfa, né zero né zeta, ma il sacro spirito dell’essere, l’arcana poesia che abbiamo perso quando abbiamo acquisito i nomi delle cose. Questa è alchimia; non fasulla nè magica, ma fedele e mistica.
Proprio come Kant sentiva che la bellezza non avrebbe potuto essere funzionale, Mariella Bettineschi si impegna (senza sforzo) a raggiungere uno stato di visione epifanica. Partendo da osservazioni piuttosto terrene e raccogliendo materiali visivi come prendendo appunti, si dedica alle immagini, manipolandole verso lo splendore. Il suo lavoro non è didatticamente teoretico, al contrario, raggiunge uno stato di irrazionale, primitiva, onirica vividezza. Sol Lewitt una volta scrisse che gli artisti concettuali erano mistici che arrivavano a conclusioni che la logica non poteva raggiungere. Sebbene non sia strettamente concettuale, in uno strano modo, Bettineschi è un’artista mistica.